Carl Rogers: l’insegnante “facilitatore” e l’insegnamento

“Ciascuno deve trovare la propria personalissima strada”

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Carl Rogers (1902 – 1987) è uno psicologo statunitense che si occupò del recupero di giovani disadattati e delinquenti.

Elaborò, nel suo lavoro terapeutico individualizzato, quella che definì “terapia centrata sul cliente”, una pratica che secondo Rogers è utilizzabile anche nell’attività educativa.

Secondo Rogers lo sviluppo della personalità è autorealizzazione e perché ciò avvenga negli interventi terapeutici Rogers sostiene che il terapeuta debba essere un facilitatore che accetta pienamente il cliente, così Rogers chiamava i suoi pazienti, ed instaura con lui un rapporto empatico che permette alla persona di lasciar fluire emozioni e stati d’animo.

L’aspetto terapeutico è ben lontano dalla pratica educativa ma vi è un aspetto della concezione rogersiana sul quale mi sembra interessante porre l’attenzione: l’insegnante facilitatore.

Alla base della pedagogia non direttiva si pone la necessità di una ristrutturazione del ruolo di chi insegna, che deve in primo luogo cambiare in modo profondo la propria concezione della didattica.

Alla base del pensiero di Rogers vi è l’idea che nulla può essere insegnato ma solo autonomamente appreso.

Pertanto il ruolo dell’insegnante è quello di essere un facilitatore, cioè una figura che non impone nulla, non svolge delle semplici lezioni, almeno che gli alunni non lo chiedano e non interroga.

Rogers propone una didattica che implichi una presentazione dell’argomento didattico da parte del docente, correlata ad una presentazione dei materiali e delle proproste di possibili tecniche di studio. Gli allievi svolgeranno poi in modo autonomo, e secondo propri obiettivi personali, le loro ricerche. Al lavoro seguirà una sorta di autovalutazione del lavoro compiuto.

Questo non toglie che l’insegnante possa essere consultato e che esso fornisca il proprio aiuto, rendendo il raggiungimento dell’obiettivo più “facile”.

Nel gruppo di apprendimento si è tutti alla pari, ognuno è libero di esprimere le proprie idee e le proprie emozioni, anche negative.

L’insegnate non esprime una valutazione dei compiti svolti dagli alunni ma, se gli viene richiesto, può esprimere una propria opinione personale, ponendo l’accento sul fatto che quello che esso sta esprimendo è un parere puramente soggettivo. Rogers non esclude comunque la possibilità di forme di valutazione finali o esami esterni, condotti dalla scuola.

Il principio della non-direttività espresso da Rogers implica prima di tutto una revisione dei rapporti tra docente e discente, una relazione improntata alla crescita reciproca, dove gli apprendimenti significativi sono anzitutto sul piano della personalità di ciascuno. Seppure la relazione debba essere pienamente personalizzata ciò avviene all’interno di una complessa dinamica di gruppo, dove la circolazione democratica della comunicazione costituisce un altro elemento di differenza rispetto alla normale pratica scolastica.

Quindi l’insegnante facilitatore ha il compito di:

  • stabilire il clima iniziale in cui dovrà maturare l’esperienza di gruppo o di classe;
  • il failitatore dovrà chiarire i propositi degli individuo della classe e più in generale del gruppo;
  • organizza e rende facilmente disponibili il più gran numero possibile di mezzi per apprendere;
  • considera se stesso come un mezzo a disposizione del gruppo;
  • accetta sia il contenuto intellettuale che quello emozionale del gruppo classe e dei singoli;
  • una volta stabilito in classe un clima di accettazione, il facilitatore farà di se stesso un discente partecipe, un membro del gruppo, che esprime le proprie opinioni come qualsiasi altro individuo;
  • il facilitatore condividerà inoltre i suoi sentimenti e si suoi pensieri con il gruppo, senza pretendere ne imporre, ma semplicemente con una partecipazione personale;
  • il facilitatore dovrà sempre riconoscere ed accettare i propri limiti.

Pubblicato da Dott.ssa Valentina Piazzi

Laureata in Scienze dell'educazione ed in Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità, sono una Pedagogista. Non ho mai pensato di fare un lavoro diverso da questo, solo non sapevo come si chiamasse. Poi gli ho trovato un nome: pedagogia. Non so se io ho trovato lei o lei ha trovato me, forse ci siamo trovate a vicenda ma di sicuro lei ha cambiato me.

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